La Bibbia dei Monti e dei Mari

 

Gao Xingjian       La Bibbia delle montagne e dei mari  (Shanhai jingzhuan)

 

 

Sforzo ambizioso di ricostruire un’epica nazionale, la commedia di Gao Xingjian (Premio Nobel per la letteratura nel 2000) si basa sul più antico libro di cosmografia e mitologia cinese, il Libro dei monti e dei mari (per la maggior parte completato intorno al periodo che va dal V al III sec. A.C.), una collezione slegata di aneddoti e leggende, senza alcuna sequenza temporale o causale che li leghi in una storia mitica. Per scrivere l’opera, Gao Xingjian ha consultato tutte le possibili fonti antiche in modo esauriente, ma senza accettare nessuna documentazione successiva alla dinastia Han. Questo perché Gao rifiuta “l’intrusione” della storiografia confuciana nei miti. La ragione dunque per cui il commediografo respinge il metodo basilare consolidato nel tempo di mescolare mito e storia, come nell’epica omerica o in altre, è quella di rendere la sua epica più “pura”, libera dalla pedanteria confuciana, purgata dalla contaminazione storiografica, ripulita dalla volgarità di corte delle dinastie Tang e Song, riportando i miti alla semplicità del folclore, nel quale, secondo lui, il vero spirito della mitologia cinese vive ancora. Dunque folclore contro storiografia, da sempre spina dorsale della cultura cinese!

Per unire tutti gli aneddoti raccolti in forma narrativa(frutto questo di una seria ricerca nel campo degli studi sociali e dell’archeologia), costituendo una catena temporale e causale necessaria a dar loro coerenza, Gao sceglie dunque una via difficile e un ancor più difficile sistema di ricostruzione. Egli esprime la speranza che l’opera sia messa in scena “in modo non troppo serio”, come se si trattasse di uno spettacolo di strada proposto da un venditore ambulante – affabulatore che usi tutti i trucchi del mestiere per vendere la sua merce in un mercato o in una sagra di paese. I miracoli degli dei andrebbero esagerati, come in una sorta di vaudeville, in cui “il pianto non è come il pianto e il riso non è come il riso”. Così la commedia, basata su uno studio approfondito, dovrebbe, al tempo stesso, essere “la più volgare possibile, la più clownesca possibile.” L’intreccio è perciò importante perché è il solo filo che lega gli aneddoti in un insieme e, allo stesso tempo, non è importante perché diventa solo un pretesto per il gioco e lo scherzo.

Divisa in tre atti affollati da più di settanta divinità e strani esseri celesti, con una lingua eccezionalmente colorita e sonora, inframezzata da canti rimati, l’opera sembra mettere in scena l’evoluzione dal caos all’ordine. Nel primo atto vediamo la leggendaria creazione del mondo e dell’uomo, seguita dal noto mito di Yi l’arciere, primo re della terra. Nel secondo, la guerra, scatenata dall’Imperatore Giallo per la spartizione dell’universo, fra il Nord e il Sud, che si conclude con la sua vittoria. Nel terzo, la restaurazione dell’ordine nel mondo e la miracolosa nascita di Yu il Grande, primo leggendario imperatore della Cina antica. Il cantimbanco annuncia nell’epilogo che l’epica deve finire qui perché la storia successiva è contrassegnata dalle storie dinastiche.

Poiché Gao non vuole dare all’epica né un fondamento storiografico né etico e vuole mantenere il folclore nella sua dimensione subculturale, rifiutando la solennità dell’opera di corte, il suo sforzo di ricostruzione si presenta denso di problemi. Problemi che il commediografo risolve conferendo a questo teatro di intrattenimento popolare un potere significante più forte attraverso la ritualità. Nell’ultima fase di produzione di Gao Xingjian, in particolare in questa commedia e in Neve d’agosto, la ritualità diventa, infatti, l’elemento centrale per recuperare la vitalità artistica del teatro cinese. Ritornare alle fonti rituali, per Gao, significa ridefinire la teatralità, liberarla dalle concettualizzazioni, ristabilendo una partecipazione del pubblico. “La scrittura di una commedia dovrebbe essere basata sulla comprensione che il teatro”, dice Gao, “è un’arte della rappresentazione, un’arte che si materializza in teatro. Questo è il motivo per cui essa deve possedere qualcosa che impegni gli spettatori in un gioco pubblico e questo qualcosa può essere la ritualità”. Ispirato dalle esperienze di Grotowski, Gao pensa che la ritualità, creando un forte senso di partecipazione e di comunione spirituale nello spettatore, possa attirare in Cina un pubblico più ampio e diverso da quello della popolazione urbana istruita e, allo stesso tempo, possa creare un ponte fra individualismo e comunitarismo. Il tempo dell’origine che La bibbia delle montagne e dei mari mette in scena, il periodo della creazione o quello immediatamente successivo, quando gli dei percorrono la terra e gli uomini visitano il cielo, quando i grandi eventi archetipi del mito hanno luogo, deve essere visto anche come una metafora delle nostre stesse origini e portare lo spettatore a guardare dentro di sé e ai suoi stessi impenetrabili inizi.